S. Atanasio de' Greci in Roma
Storia della chiesa di S. Atanasio
Sin dalla nascita del Collegio Greco, si presentò l’esigenza di un luogo per le sue necessità di culto. Si provvide dapprima con un altare portatile latino (9 gennaio 1578), ma subito dopo si pensò all’erezione di una chiesa, anche questa su sollecitazione di papa Gregorio.
Nello stesso anno si contratta con i Naro, nobile famiglia romana, l’acquisto di un appezzamento di terreno, delimitato dalla strada Paolina, da via dei Bergamaschi (ora via dei Greci), dirimpetto al Collegio stesso e dal vicolo “che va a San Jacopo” (v. di S. Giacomo).
Benché a fine anno il papa autorizzi l’acquisto del terreno, e nonostante le insistenze del cardinale Giulio Antonio Santori, patrono del Collegio, è solo il 20 ottobre 1580 che il papa dà il suo assenso all’inizio dei lavori affidati, come sembra definitivamente assodato, a Giacomo Della Porta.
Il 3 novembre il papa approva il disegno presentatogli e la prima pietra viene posta il 23 novembre dal cardinale Santori. Gregorio XIII è intenzionato a vedere conclusa rapidamente l’opera “Del disegno e della fabrica della chiesa… Che si seguiti a furia” come testimoniato dalle note del Santori.
Dopo neanche un mese cominciano a sorgere delle difficoltà, dovute alle ridotte dimensioni del tempio. Emerge anche l’intenzione di officiare, su altari distinti, i due riti, greco e latino. I lavori comunque proseguono e ad aprile del 1581 sembrano essere quasi terminati.
Rimase per il momento irrisolto il problema dei due riti, finché alla fine dell’anno, grazie all’acquisto di un appezzamento di terreno sul retro dell’edificio già costruito, si poté procedere ad una radicale trasformazione dell’edificio.
Alcuni autori, ipotizzano, sulla scorta di documentazione iconografica di questo primo tempio – una xilografia di Marcantonio Ciappi – che un primitivo edificio a pianta semplicemente rettangolare con modesta facciata a capanna di un solo ordine, già però con i due campanili, sia stato integralmente distrutto e ricostruito.
Più probabilmente la chiesa – che dalla stessa fonte iconografica può essere interpretata come a pianta centrale, a croce greca e con gli angoli tra i bracci occupati dai campanili e da ambienti di servizio – sarebbe stata ampliata demolendo e ricostruendo la sola zona opposta all’ingresso.
Questa teoria, oltre a giustificare la ristrettezza dei tempi necessari per il definitivo termine dei lavori – dai primi mesi del 1582 all’aprile del 1583 – spiegherebbe la presenza dei due piccoli locali adiacenti alle due cappelle laterali che con le loro attuali dimensioni risultano privi della benché minima utilità pratica. Si noti dalla pianta che pur nella loro scarsissima profondità questi hanno una larghezza equivalente a quella delle due sacrestie posteriori. È ipotizzabile perciò che, costruite a fianco del primitivo altare maggiore, siano state troncate dall’ampliamento.
L’ampliamento stesso fu realizzato con una soluzione architettonica assai rara per Roma: tre absidi semicircolari sporgenti dal rettangolo della pianta e direttamente collegate tra loro senza una navata trasversa.
Ai lati dell’abside centrale furono ricavati due vani destinati a fungere da sacrestie per i due riti, a sinistra la latina, a destra la greca. Per rispettare le proporzioni del complesso, l’architetto dovette prevedere l’innalzamento del tetto, sotto cui fu posta una nuova volta, e di conseguenza la stessa facciata fu elevata con un secondo ordine di paraste, queste ioniche, sino ad inglobare il primo piano dei due campanili.
Per la realizzazione degli arredi e dei parati greci fu consultato il vescovo di Anagni Gaspare Viviani, che nei suoi lunghi soggiorni in Oriente era divenuto esperto nella materia.
Il 2 maggio 1583 la chiesa fu consacrata da Germanos Kuskonaris, vescovo di Amatunte in Cipro. Questi, dopo l’occupazione della sua città da parte dei Turchi nel 1571, era venuto a Roma ricevuto da Gregorio XIII; in seguito divenne cappellano del Collegio. Nel 1595 fu nominato quale primo Vescovo Ordinante per i Greci in Italia. In occasione della consacrazione della chiesa, Papa Boncompagni “aveva concesso grandissima indulgenza” al numeroso popolo che vi aveva partecipato.
La decorazione interna non era però terminata. Nell’aprile dell’anno successivo il pittore Francesco Trabaldese riceve il pagamento per i dipinti dell’iconostasi realizzata in noce e successivamente per gli affreschi degli altari delle cappelle laterali. Nel settembre del 1591 il giovane Cavalier d’Arpino riceve il pagamento per i dipinti delle cappelle delle absidi laterali iniziati nel 1585.
Le vetrate furono decorate con lo stemma del pontefice che si era adoperato per l’erezione della chiesa. Pagamenti per la riparazione dei vetri colorati sono ricordati sino al 1798, anno in cui la chiesa soffrì per l’occupazione dei soldati francesi, quando le vetrate furono distrutte od asportate.
L’esterno della chiesa fu realizzato in travertino e in mattoni. La qualità non omogenea dei laterizi, la presenza di alcune parti in peperino e stucco in luogo del più nobile travertino lasciano pensare che l’intera chiesa fosse se non intonacata almeno ricoperta da una scialbatura biancastra che ne omogeneizzasse le superfici.
Con la morte del pontefice nel 1585, l’interesse per il Collegio e la chiesa viene meno[9], il Santori che fin dal febbraio del 1583 aveva chiesto il permesso di unire la chiesa al Collegio con un passaggio e di poter chiudere con un cancello via dei Bergamaschi – sembra che la strada fosse mal frequentata – ottiene solo dei dinieghi. Un primo passaggio fu realizzato a spese del Collegio solo nel 1623. È questo che appare nella stampa del Falda del 1665 ed era a filo della facciata della chiesa.
L’attuale ponte fu costruito nel 1770 demolendo quello antico; per scendere alla chiesa dal collegio fu realizzata la bella scala “a lumacha” ellittica con sbocco nella parte sinistra della navata, dinanzi al vima.
Interventi strutturali furono compiuti nel XVII e XVIII secolo per recingere la chiesa ed il suo cimitero. Tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 furono realizzati gli ateliers ai lati dell’edificio.
La chiesa rimane pressoché intatta sino al secolo scorso, quando viene affidata all’architetto Andrea Busiri Vici la sistemazione interna della chiesa – effettuata in due riprese nel 1872 e nel 1876 – dopo la rinuncia definitiva al doppio rito.
Viene demolita l’iconostasi lignea del Trabaldese – le cui pitture sono ora conservate nel refettorio del Collegio – e ne viene ricostruita un’altra in mattoni e stucco più avanzata verso la navata per dare maggiore spazio all’altare.
Poiché la nuova iconostasi viene ad includere nel vima le porte di accesso delle due sacrestie, da una delle quali, la sinistra, si accedeva alla scala elicoidale di passaggio al Collegio, viene aperta una nuova porta nel transetto sinistro per consentire l’accesso alla scala. Tre finte porte sono realizzate per simmetria in entrambi i transetti.
La sacrestia latina non più necessaria dopo l’abbandono di questo rito è declassata a ripostiglio di oggetti per l’uso della chiesa.
La zona del santuario è risistemata e ridecorata secondo il gusto dell’epoca.
Vengono demoliti gli altari delle cappelle laterali e dei transetti.
Nel 1885 si completano i lavori con l’asportazione dell’antico pavimento in cotto con la conseguente dispersione delle lapidi tombali presenti, alcune soltanto delle quali sono state conservate addossate alle pareti. Appartengono probabilmente alla pavimentazione originaria quelle presenti dei due locali alla base dei campanili e nei due piccoli locali accessori.
Dopo aver scampato il rischio di essere demolita nel 1909 per lasciar posto ad un rifacimento in forme pseudo–valadieriane, la chiesa è stata oggetto negli anni 1928–1930 di restauri strutturali che hanno posto definitivamente rimedio ai problemi statici presentatisi sin dagli anni successivi alla costruzione che interessavano la volta e il catino absidale. In tale occasione l’interno fu ridipinto seguendo per i colori i suggerimenti del Muñoz[12] poi ripresi nel restauro del 1971, venne inoltre realizzata la bussola all’ingresso. Fotografie del 1951 mostrano una diversa sistemazione interna, con il trono esterno ed il pulpito, dipinti a finto marmo, addossati agli angoli della navata con le absidi laterali, rivolti verso l’iconostasi, una diversa dislocazione delle icone maggiori e l’assenza dei grandi lampadari di cristallo.
Nel 1990 è stato restaurato l’esterno.
La chiesa che amministrativamente dipende dalla Sacra Congregazione per le Chiese Orientali, pastoralmente fa parte della diocesi di Roma e rientra, quale rettoria, nel territorio della parrocchia latina di S. Giacomo in Augusta.